VIII. L'abbraccio del limite
- Marianna Platé
- 25 nov 2020
- Tempo di lettura: 6 min
Aggiornamento: 27 dic 2020
“Chi crede ai miracoli lo fa perché
ha delle prove a loro favore.
Chi li nega, è perché
ha una teoria contraria ad essi”
(G.K.Chesterton)
Tornata a Milano dopo l’esperienza di missione, sentii di aver trovato finalmente la mia libertà.
Affrontai la malattia senza sentirmi in alcun modo giudicata. Sapevo di far fatica, ma ero sicura che qualcuno per amore mi avrebbe supportato in ogni mia scelta.
In Bosnia non mangiai moltissimo. Mi ero programmata di saltare colazioni e pranzi, così da potermi concedere a cena, senza sentirmi in colpa, due cucchiai di passato di verdura e un frutto.
Il limite che mi ero posta era ormai alto e tornata a casa rincominciai ad assomigliare a quel famoso cane che si mordeva la coda. Mangiavo anche solo un panchetto di cracker in più e i forti sensi di colpa mi gridavano di vomitarlo. Decidevo, così, di non mangiare più per un po’, ma la fame presto ritornava e a quel punto era incontrollabile. Così mi abbuffavo, vomitavo e digiunavo e mi abbuffavo, vomitavo e digiunavo. Il vomito era la mia scorciatoia e il mio burrone allo stesso tempo.
Sempre stessa storia, stessa sofferenza, stessa lotta. Da quel viaggio sembrava non essere cambiato nulla.
Eppure non fu del tutto così.
Era l’8 gennaio 2019 e il bisogno che ormai da tempo gridava prepotentemente di poter essere accettato, andava assolutamente eliminato.
Non potevo più permettermi di dargli ascolto. Esso, infatti, sarebbe stato negativo non solo per la me che da tempo desiderava essere perfetta e autosufficiente, ma anche per l’altro che in esso avrebbe senz’altro percepito un attacco al suo spazio vitale.
Nella mia testa c’era ancora tanta insicurezza e paura; non riuscivo più a fidarmi di me stessa, delle mie scelte e delle mie azioni. Ogni mia mossa sarebbe potuta risultare deleteria. Qualora avessi dato ascolto al bisogno, infatti, sarei sicuramente stata male, mi sarei fatta del male e avrei fatto del male.
Non riuscire ad avere pieno controllo su di me e sulle mie azioni ed essere ritornata in un certo senso bambina mi faceva sentire debole e fallita.
Il mio limite mi impediva di esprimermi al meglio; mi limitava e questo non potevo accettarlo.
Eppure quel giorno la vita desiderava mostrarmi l’altra faccia della medaglia.
Il limite, infatti, non doveva più esser visto semplicemente come ostacolo all’espressione della mia persona, ma piuttosto come perimetro che avrebbe delimitato e descritto il mio essere.
Dovevo imparare ad abbracciarlo se volevo davvero realizzarmi a pieno. Esso, infatti, solamente se accettato come tale, non sarebbe più stato limite, ma superato.
L’esperienza di autentica liberazione cominciò proprio quando iniziai a intuire ciò.
Quel giorno, infatti, mi trovavo a casa da sola e per consolare la mia solitudine, come ormai ero solita fare, mi rifugiai in cucina.
Sapevo benissimo che quello era per me un luogo infernale, tuttavia una voce dentro di me mi invitava a entrare e farmi del male. Così dopo aver dato ascolto a quel subdolo invito, in pochissimo tempo mi ero già abbuffata. Quella volta però, a differenza delle altre, l’illusione di poter stare meglio vomitando non andò in porto. Ogni tentativo, infatti, risultava vano ed io mi stavo soltanto facendo del male. Inginocchiata davanti al water, con le lacrime agli occhi e due dita alla gola, il mio corpo quel pomeriggio decise di ribellarsi. Iniziai a perdere sangue dal naso, mi feci improvvisamente debole e stanca. Non avevo più forze per combattere e così di fronte ai miei inutili sforzi fui costretta a gettare le armi.
Così senza alcun tipo di armatura, sofferente nel corpo e nell’anima, uscii di casa in lacrime e distrutta per fare baby-sitting. L’impegno mi avrebbe sicuramente distratta, tuttavia quel pomeriggio sapevo di aver bisogno di altro per poter affrontare quel mio fallimento.
Così decisi che, dopo aver accompagnato la bambina in palestra, sarei andata a Messa.
Lungo il tragitto, però, oltre a pensare di voler essere abbracciata dall’unico che poteva donarmi consolazione vera, il pensiero di quello che avevo appena mangiato rimaneva fisso nella mia testa.
Cercavo in tutti i modi di trovare una soluzione per poter rimediare al danno. Sarei potuta andare a correre in modo malato nella speranza di smaltire tutte le calorie appena assunte, avrei potuto saltare la cena, riprovare a vomitare o assumere dei forti lassativi.
Possibilità e pensieri di ogni tipo, malati e disperati che non avrebbero, però, portato a nulla di buono.
Così, rassegnata e stanca di tutto, decisi ad un certo punto di accettare quella mia condizione. Non avrei fatto niente.
Era come se inconsciamente avessi capito che la mia povertà andava in qualche modo consolata e abbracciata, non punita o debellata come mi ostinavo a fare ormai da troppo tempo.
Accompagnata dunque la bambina all’attività sportiva, mi recai nella chiesa di Santa Maria Liberatrice.
Mi sentivo la persona più sbagliata, più fragile, più brutta e grassa di questo mondo. Ero rimasta senz’armi e così finalmente quel giorno mi rivolsi e mi abbandonai totalmente al Signore.
“Per questo vi dico:
tutto quello che domandate nella preghiera,
abbiate fede di averlo già ottenuto e
vi sarà accordato”.
(Mc 11,11-22)
Nulla è impossibile a Dio.
La mia guarigione fu un dono inaspettato, di un Dio che è Sguardo di amore.
Quella sera, durante la consacrazione, ricordo che una voce dentro di me iniziò a cantare quelle bellissime parole che si è soliti cantare a Medjugorje.
Recitano così: “Liberami, o mio Signor/ guariscimi, o mio Signor/ con il tuo sangue liberami/ liberami Signor”.
E subito la certezza di essere guarita. Dentro di me una voce chiara, certa e reale proclamava la mia guarigione.
Scossa dall’esperienza, provai a convincermi che fosse solo qualcosa di mentale, un prodotto della mia immaginazione, un pensiero menzognero. Dovevo prima constatarlo per essere sicura che fosse reale.
Nel corso della malattia, infatti, mi era capitato già più volte di aver fatto finta che il problema non esistesse. Cercavo di eliminare la malattia, pensando fosse tutta una questione di testa. Mi convincevo che se mi dicevo di esser guarita e cominciavo a mangiare normalmente la malattia sarebbe effettivamente sparita. Quasi come se tutto dipendesse da me. Eppure, quelle volte, la falsa guarigione durava pochi giorni soltanto. Poi, piena di sensi di colpa, devastata dal pensiero e dal ricordo di tutto quello che avevo ingerito, smettevo nuovamente di mangiare cadendo così nell’ormai noto circolo vizioso.
Quella sera, però, la voce non proveniva da me, era diversa, era vera. E la verità da sempre si manifesta in modo chiaro e trasparente. Lo sai quando qualcosa è vero, non hai dubbi.
Subito, quindi, mi fermai, ero chiamata a decidere se crederci o meno.
Così, certa di quello che avevo sentito mi fidai.
“Vai la tua fede ti ha salvato”.
(Lc 17, 11-19)
Tornai a casa e mangiai tutto quello che mamma aveva preparato.
La mattina successiva, mi svegliai pronunciando la frase “io sono guarita” e vivetti la giornata guidata da tale convinzione.
Il tempo passava e io notavo ogni giorno sempre di più che effettivamente non stavo più male. Niente più pensieri sul cibo, niente più paura di sgarrare o di compensare con il digiuno.
Ero certa, il Signore mi aveva già guarita.
Egli mi stava donando un periodo di grazia, ma quanto questo sarebbe durato io non potevo saperlo; una cosa, però, era certa, dovevo armarmi per bene.
Come mi suggerì la mia direttrice spirituale, infatti, Dio stava agendo nella mia vita e questo lo potevo toccare con mano e verificare attraverso i fatti. Non potevo, dunque, permettermi di perdere la fede in Lui, la preghiera doveva essere la mia armatura.
“Pietro gli disse: “Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque”. Ed egli disse: “Vieni!”. Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma per la violenza del vento, s’impaurì e, cominciando ad affondare gridò: “Signore, salvami!”. E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”
(Mt 14, 22-36)
Questa che vi propongo è un’immagine che accompagna ogni giorno la mia guarigione e che dà prova della potenza della fede in Gesù Cristo.
Io come Pietro mi trovavo già dentro al miracolo, perché, dunque, dubitare o aver paura?
Le tentazioni e le violente tempeste sicuramente ci sarebbero state anche per me, soprattutto in quel particolare momento della mia vita, era per questo, però, che avrei dovuto armarmi della fede.
In quel periodo, ricordo di aver avuto tanta paura di poter ricadere. Tuttavia, capii con il tempo che dovevo continuare a credere e nonostante la violenza del vento perseverare nel ringraziamento e nella preghiera.
Bellissima,
grazie a Gesù per il dono grande che ti ha fatto della malattia e della guarigione. Grazie per i miracoli che ogni giorno continua a fare in te e attraverso di te. Sei un dono immenso.
Amore che dono poter camminare con te.
Bomber