top of page

Avevo paura

Aggiornamento: 9 feb 2021

Con il tempo, dunque, grazie alla perseveranza nella preghiera, giorno dopo giorno ricevetti conferma della bellezza di quello che stava avvenendo nella mia vita.

Mi era stata ridonata la vita; questa volta, però, non potevo far finta di nulla.

La verità si era manifestata chiaramente ed io, che fino ad allora non avevo voluto riconoscerla, ero ora chiamata a custodirla.


Si perché io soltanto avevo scelto di vivere una vita costruita sulla menzogna, io soltanto avevo preferito la schiavitù alla vera libertà.

Nessuno mi aveva obbligata ad accettare quello standard di bellezza che mi rendeva gelosa degli altri e perennemente avida.

Nessuno mi aveva obbligata a rinunciare alla pienezza di vita in nome di una perfezione illusoria e irraggiungibile.

All’amicizia in nome di una malattia che rende schiavi dell’egoismo, dell’immagine e dell’insoddisfazione personale.

Nessuno mi aveva obbligata a rinunciare ai miei studi perché priva di forze fisiche e mentali.

Avevo io liberamente scelto tutto questo, ma perché?

Perché non riuscii a prevedere per tempo che la vita che conducevo mi avrebbe portato soltanto alla morte?

Con il tempo individuai nella paura, nell'opinione del mondo e nella superbia le catene invisibili della mia malattia. Soffermiamoci, dunque, sulla prima delle tre.


Paura


Fu la paura la prima ragione che mi portò a vivere una vita lontana da quella a cui ero destinata.

Nel quotidiano confronto con mia madre e mia sorella si originò la paura di non essere mai abbastanza. La paura di essere profondamente cattiva e di non meritarmi l’amore che desideravo.

Con i primi commenti negativi sul mio corpo, poi, la paura del giudizio degli altri, la paura di rimaner sola, la paura di non avere importanza.

Con l’esordio della malattia, invece, la paura di fallire, la paura di soffrire.

La paura che Dio non mi avrebbe mai perdonata, non mi avrebbe mai più amata.

Paura, paura, paura.

La paura da troppo tempo era una delle protagoniste della mia vita ed essa mi stava portando soltanto all’autodistruzione.

Non mi permetteva di riconoscere e accettare la verità.

Avevo paura di avvicinarmi ad essa perché sapevo, infatti, che più lo facevo più sarebbe stato inevitabile un cambiamento.

Richiedeva coraggio ed io non ero abbastanza forte da tuffarmi nel vuoto.

Ma la paura è immobilità, angoscia e distruzione. La verità, al contrario, è libertà, pace e vita.


Ero schiava, eppure non me ne accorgevo.

Costretta a indossare una maschera che non mi apparteneva, desideravo essere chi non ero, avere un altro corpo, un’altra personalità e un’altra storia.

Ogni giorno facevo guerra contro me stessa. Rifiutavo la bellezza che mi era propria in nome di una bellezza d'imitazione. Mi fingevo forte. Non mi fidavo di nessuno.

Mi ero cucita addosso un'immagine del tutto illusoria e precaria.

E sulla base di cosa poi? Di un mio gusto personale? Di un mio desiderio? Oppure di ciò che il mondo desiderava per me?


Vivevo in prigioni invisibili, era il rumore di alcune convinzioni che pian piano avevano preso il sopravvento su di me.

Senza accorgermene, ma in modo tale da penetrarmi fin dentro le ossa, quotidianamente mi veniva sussurrato come sarei dovuta essere, perfetta, immortale, un prodotto di mercato.

Non ero più libera di essere me stessa.

Avevo paura di mostrarmi per come ero realmente e così mi ero accontentata di abbellire le mie prigioni, perché in fondo la sottomissione mi faceva meno paura della vera libertà.

Era un modo per deresponsabilizzarmi e sopravvivere.

Rimanere schiava era un’ancora di salvataggio in un mondo dove regnava l’insicurezza.

Mi limitavo a danzare in catene.

Danzavo sì, ma incatenata ai giudizi degli altri in nome di una bellezza e una felicità lontana dalla verità, incatenata a quella malattia così demoniaca.


La definisco così perché fu questa la sua origine, le paure che l’accompagnavano, infatti, ne erano soltanto la conseguenza, non il fenomeno in sé.

Esse, infatti, erano legate al mio passato, anche loro avevano una storia con cui io dovevo fare i conti.

Si erano manifestate a me come risultato di un processo che era passato attraverso un atto, quello della trasgressione, a sua volta effetto di un dialogo.

Ero stata ingannata e davanti a un limite mi era stata data una lettura distorta e menzognera della realtà, una lettura che io avevo accolto come veritiera.

Le paure nemiche dell’amore si presentano molto spesso come convinzioni ed io ero convinta di non andare bene, volevo essere perfetta e venivo persuasa di questo in modo ossessivo. Le persuasioni contenute in esse, infatti, molto spesso si collegano al nostro senso di incolumità, diventano subito questione di vita o di morte ed io non potevo non essere perfetta, non potevo non essere come Dio.

La paura mi colpiva interiormente portandomi ad assumere atteggiamenti distorti, lontani dalla verità e spesso legati al vizio. Imponeva rassicurazioni, compensazioni, spegneva e feriva il mio cuore che così pian piano non riusciva più ad amare liberamente.


Ma se da una parte le paure si manifestavano in me come convinzioni, d’altra parte rimaneva ancora vivo in me il desiderio di conoscere, di mettere in dubbio e andare a fondo della realtà che stavo vivendo.

In fondo sapevo di non stare bene, sapevo che dietro a quella malattia si celava un male più grande. E questa consapevolezza fu per me una grazia.

A salvarmi, infatti, fu proprio la domanda sulla natura della paura che si nascondeva dietro a quel mio vuoto affettivo. Fu questa domanda che a mio avviso mi rese sempre più consapevole di ciò che stavo attraversando, mi permise di camminare verso la verità, di ricercare le cause e dare alcune risposte rassicuranti al mio cuore così inquieto.

La paura andava ascoltata, andava interrogata, non allontanata o rassicurata come ero solita fare.

Mi ripetevo che con un po' di buona volontà avrei potuto risolvere tutto, che me ne sarei dovuta fregare, eppure non era così. Aggredire quel mio atteggiamento non mi avrebbe, infatti, portato a nulla, se non a tanta frustrazione.

Mi rassicuravo dicendomi che in fondo ero circondata da persone che mi volevano bene e che non c'era motivo per stare male, eppure anche quest'altro atteggiamento di negazione nei confronti della paura mi avrebbe portato all'esasperazione.

In fondo mi rispondevo in quel mondo perché era troppo grande per me la domanda.

Molto spesso, è vero, non abbiamo subito delle risposte, ma il semplice fatto di domandare ci consente di fare il primo passo verso la consapevolezza, nonché verso la salvezza.

C’è sempre qualcosa in noi che rimane inspiegabile e questa deve essere una piccola certezza. Non troveremo mai tutte le risposte. Resteremo sempre un po’ sconosciuti a noi stessi ed è bene rendersene conto, sapere cioè, di essere sempre e comunque un passo indietro rispetto alla completa verità su noi stessi. Ma la domanda per sua natura è essa stessa dinamica, non chiede per rimanere ferma, ma per andare sempre un pò più avanti.

Ed era per questo motivo che dovevo continuare a interrogare la profondità della malattia e la sua paura.

Il passo decisivo poi fu quando intuii che dovevo lasciare a Dio l'ultima parola, una parola di infinita pazienza nei miei confronti. Quella paura, infatti, era troppo grande per me. Ero schiava e in quanto tale anche io avevo un oppressore, il demonio. Non mi sarei liberata da sola, ma anche io avrei avuto bisogno di qualcuno che mi liberasse. Il nodo della paura non lo avrei sciolto da sola. Soltanto una relazione d'amore mi avrebbe guarito. Avevo anche io bisogno di essere guardata e amata per com'ero.


"Inutile negarlo, la realtà del male esiste ed è proprio da quando l’umanità non ha più creduto all’origine non-umana del male che ha fatto, subito dopo, il passo successivo di demonizzare l’uomo, distinguendolo in buono e cattivo. Ma il male supera l’uomo, non si spiega con la somma delle responsabilità umane. C’è un additivo al male, l’uomo è bene, non male. Che si accetti o no l’origine sovra-umana del male, comunque dietro alla paure che distruggono l’amore troviamo un inganno. E lo spazio di quelle menzogne molto spesso è il pensiero triste. La menzogna è sempre una, il disprezzo di sé, il convincersi di non valere e di non riuscirsi a guadagnare l’amore dell’altro".

Ma l’amore non va guadagnato, Dio è testimone di un amore gratuito, è lui la vera salvezza.


 
 
 

1 comentario


Corentin Jarry
Corentin Jarry
26 dic 2020

Grazie Marianna e ti auguro felici feste! Che il Bambino Gesù sia sempre la tua luce: "In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini" Gv 1, 4.

Me gusta

©2020 di Marianna Platé. Creato con Wix.com

bottom of page